i) Stanza VIII

In questa stanza  si conservano i calchi del volto (FOTO 14 e 15) e della mano del Poeta (FOTO 16).

La maschera funeraria è in cera plasmata direttamente sul volto poco dopo la morte (notte del 1° Marzo 1938) da parte dell'amico scultore Arrigo Minerbi, che così ricorda le volontà e le parole del Vate: "Ho aperto la giacca sullo sterno, ho abbassato il colletto della camicia. Gli occhi sono chiusi, le ciglia brune, nitidissime e folte, attraverso il velo delle palpebre sottili ritrovo il suo sguardo... Per la ricostruzione mi basta. Non dimenticherò le sue parole: "Nel mio volto supino la lesione del tempo e della vita a un tratto sarà cancellata; ridiventerò giovane nel marmo del mio sepolcro". Con ambo le mani, con fraterna tenerezza gli sollevo il capo. Sul guanciale nero viene stesa una tela bianca. Sono le 4.30 del mattino. Ho finito. Riparto. Tra poche ore, qui vi sarà folla: la "fiera del morto"... Nessun altra visione deve sovrapporsi a quella che porto meco nel cervello e nel cuore. Vorrei non tendere la mano ad alcuno per non cancellare la sensazione plastica del suo volto".

Il calco della mano è in gesso, plasmato anch'esso direttamente sulla salma dal Minerbi, che così descrive i particolari della realizzazione: Ho nelle mie mani le sue mani. Levo il nastro che lascia un solco ai polsi, e le disgiungo. La destra mi si abbandona morbida e confidente. Cerco di atteggiarla nell'atto di scrivere... mi ubbidisce all'istante. Il pollice si appoggia lentamente all'indice e vi aderisce. Vi aderisce tanto, che nel calco in gesso ne rimarrà visibilmente l'impronta. Penso: certo l'abitudine di serrare la penna ancora lo tiene! Il gesso liquido e freddo ricopre lentamente il polso, le dita, la mano che ha scritto le Laudi"

In questa stanza  si conservano i calchi del volto (FOTO 14 e 15) e della mano del Poeta (FOTO 16).

La maschera funeraria è in cera plasmata direttamente sul volto poco dopo la morte (notte del 1° Marzo 1938) da parte dell'amico scultore Arrigo Minerbi, che così ricorda le volontà e le parole del Vate: "Ho aperto la giacca sullo sterno, ho abbassato il colletto della camicia. Gli occhi sono chiusi, le ciglia brune, nitidissime e folte, attraverso il velo delle palpebre sottili ritrovo il suo sguardo... Per la ricostruzione mi basta. Non dimenticherò le sue parole: "Nel mio volto supino la lesione del tempo e della vita a un tratto sarà cancellata; ridiventerò giovane nel marmo del mio sepolcro". Con ambo le mani, con fraterna tenerezza gli sollevo il capo. Sul guanciale nero viene stesa una tela bianca. Sono le 4.30 del mattino. Ho finito. Riparto. Tra poche ore, qui vi sarà folla: la "fiera del morto"... Nessun altra visione deve sovrapporsi a quella che porto meco nel cervello e nel cuore. Vorrei non tendere la mano ad alcuno per non cancellare la sensazione plastica del suo volto".

Il calco della mano è in gesso, plasmato anch'esso direttamente sulla salma dal Minerbi, che così descrive i particolari della realizzazione: Ho nelle mie mani le sue mani. Levo il nastro che lascia un solco ai polsi, e le disgiungo. La destra mi si abbandona morbida e confidente. Cerco di atteggiarla nell'atto di scrivere... mi ubbidisce all'istante. Il pollice si appoggia lentamente all'indice e vi aderisce. Vi aderisce tanto, che nel calco in gesso ne rimarrà visibilmente l'impronta. Penso: certo l'abitudine di serrare la penna ancora lo tiene! Il gesso liquido e freddo ricopre lentamente il polso, le dita, la mano che ha scritto le Laudi"

ARRIGO MINERBI. Nasce a Ferrara nel 1881. Dopo aver frequentato la Scuola di Arti e Mestieri, a diciannove anni è a Firenze, dove lavorerà come stuccatore e decoratore e si accosterà allo studio della scultura del '400. Successivamente si stabilisce a Genova, dove realizza fontane da giardini e per la villa Pastine a Monterosso progetta in cemento armato un gigantesco Nettuno. In seguito si trasferisce a Milano, dove nel 1919 allestisce una mostra personale nella Galleria Pesaro esponendo opere quali la Vittoria del Piave, il Mattino di Primavera, Mia Madre e l' Autoritratto, in cui mostra di aver raggiunto una eccellente qualità nella tecnica scultorea. Partecipa a numerose mostre ed esposizioni tra cui la Biennale veneziana del 1932, dove espone il Cenacolo, gruppo in argento ispirato alla tradizione scultorea quattrocentesca. Tra le opere successive sono la tomba Cusini al Monumentale di Milano, i busti di Battisti e Filzi per il Castello di Trento e numerosi ritratti tra cui quelli della Duse e di Previati, la maschera funeraria di G. d'Annunzio, la tomba di Luisa d'Annunzio nella cattedrale di S. Cetteo a Pescara, approdando a un tipo di scultura di gusto neoclassico e celebrativo. È opera sua anche una delle porte del duomo di Milano. Muore nel 1961.